AGD Piemonte, anche i bambini possono avere il diabete (e conviverci)

07/08/2024

Cornelia Cruceru ci racconta come l’associazione aiuta le famiglie con il diabete mellito di tipo 1

La nostra associazione è nata nel 1975 dalla volontà di genitori come noi, supportati  dai medici del reparto Diabetologia dell’Ospedale Pediatrico Regina Margherita di Torino, che avevano compreso quanto il confronto potesse aiutare le famiglie “colpite” da diabete mellito di tipo 1.A stretto contatto con i medici del Regina Margherita di Torino, ci siamo organizzati per dare una mano, per aiutare le famiglie e i ragazzi a entrare in questa "nuova normalità".

Cornelia Cruceru è la presidente dell’associazione AGD Piemonte e insieme al reparto di diabetologia dell’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino è di riferimento per circa 700 bambini colpiti da diabete tipo 1.

“Quando parliamo di diabete – ci spiega - pensiamo subito agli anziani e ad un’alimentazione scorretta. Questo è il diabete mellito di tipo 2, ma poi c’è anche il diabete di tipo 1, meno diffuso, con un esordio traumatico, in molti casi, non prevenibile, autoimmune, che colpisce ragazzi e bambini anche a pochi mesi di vita. I sintomi possono essere sete implacabile, tanta pipì, fame eccessiva, calo di peso e stanchezza. Con un adulto può essere più facile capire, ma con un bambino piccolo può essere invece molto difficile cogliere rapidamente i sintomi.

Come dicevo, è una malattia autoimmune che distrugge le cellule del pancreas che producono l’insulina. L’insulina è la chiave che permette allo zucchero di passare dal sangue a tutte le cellule del nostro corpo. Lo zucchero è per il nostro organismo come la benzina per la macchina, ma se non abbiamo la chiave per azionare il motore e mettere in moto la macchina, resterà ferma. La persona con diabete di tipo 1 deve non solo assumere dall’esterno insulina, ma deve fare in modo di averne sempre la quantità giusta nel sangue. La carenza di insulina provoca l’accumulo di zucchero nel sangue, l’iperglicemia, che può portare a chetoacidosi.  Questa condizione provoca estrema stanchezza, disturbi respiratori e alterazioni dello stato di coscienza e può portare al coma diabetico e a volte anche alla morte.

La terapia esiste, l’importate è arrivare ad una diagnosi precoce. Ancora oggi il 40 % delle diagnosi avviene in ritardo. La diagnosi tardiva aumenta il rischio di gravi complicanze”.

  
Quindi una diagnosi di diabete di tipo 1 può essere un terremoto per una famiglia?

Sì. Il ricovero, la cronicità della malattia, la necessità costante di fare scelte terapeutiche, valutando sempre tutti i fattori che influenzano la glicemia, rappresentano un evento traumatico nella storia di una famiglia. Per questo l’aiuto di altre famiglie che ci sono passate, l’esempio di ragazzi che ci convivono da anni e il sostegno di psicologi e dietisti possono essere molto preziosi.
Di diabete di tipo 1 oggi non si guarisce, dura per tutta la vita e bisogna di conseguenza imparare a conviverci. Non è una malattia ereditaria, ma ci sono delle familiarità che possono aumentare la probabilità di contrarlo.

Per gestire il diabete di tipo 1 possono servire 6 iniezioni di insulina al giorno e altrettante rilevazioni della glicemia. La quantità dell’insulina da assumere in un determinato momento della giornata va valutata, non solo in funzione del valore della glicemia, dai carboidrati contenuti nel pasto, ma anche considerando l’attività fisica fatta prima o dopo l’assunzione dell’insulina. Il valore della glicemia è influenzato anche dalle emozioni, dallo stress, dagli ormoni dalla crescita. Oggi sono molto utilizzati i sensori glicemici che non solo rilevano il valore della glicemia, ma forniscono anche previsioni sul suo andamento. Gli ultimi sensori glicemici sono collegati a pompe per insulina che rilasciano costantemente una quantità di insulina. I nuovi strumenti per la gestione del diabete di tipo 1 permettono, se accettati, una migliore qualità di vita e un compenso glicemico migliore.

Inizialmente c’è un periodo di shock, emozioni confuse (ansietà, stordimento, incredulità, senso di colpa, depressione), seguito da un periodo di lotta contro la malattia. Conoscere una famiglia che da anni convive con questa malattia, vedere dei ragazzi che ci sono cresciuti e che sanno gestirla, può regalare una luce, una prospettiva, nei momenti più bui del ‘primo impatto’ e può lasciare spazio all’accettazione e alla riorganizzazione di una nuova ‘normalità’.

Fra le prime cose che fate, regalate l’Orso Lino alle famiglie, cos’è?

L’Orso Lino è un peluche come tanti, ma con delle toppe colorate in certi punti specifici, che sono poi le aree in cui i bambini devono fare le iniezioni di insulina oppure dove possono essere inseriti i sensori glicemici e le pompe per insulina. Ai piccoli una puntura fa paura e condividere con un orsacchiotto questa esperienza può aiutare molto.  Lino è il protagonista del libro Lino e il Diabete, scritto da due psicologi, italiani che collaborano con l’associazione italiana per l’Aiuto ai Giovani con Diabete. Il libro e il peluche vengono regalati ai bimbi all’esordio e diventano un’ottima strategia per raccontare la patologia ai bambini molto piccoli.

Uno dei nostri obiettivi principali è infatti accogliere le famiglie che affrontano questa esperienza e aiutarle, aggiungendo alle preziose indicazioni dei medici la condivisione dei nostri vissuti. La sanità italiana soffre di mille difficoltà e noi cerchiamo di fare la nostra parte. Se in ospedale ci sono due medici, il nostro supporto permette alle famiglie di appoggiarsi anche a una psicologa e a una dietista. Con loro progettiamo poi anche altre iniziative che portiamo avanti.

Per esempio?

Incontri mirati con i ragazzi organizzati per fasce d’età. L’obiettivo è sempre quello di raggiungere l’autonomia nella gestione della patologia che non può prescindere dall’accettazione della patologia e di sé stessi sempre in compagna di un amico scomodo, ma che ha bisogno di essere curato.

In quest’ottica promuoviamo anche Campi Scuola di educazione terapeutica, organizzati per fasce di età, con l’obiettivo di promuovere l’educazione terapeutica per l’autogestione del diabete in un ambiente protetto e di favorire il confronto con i coetanei. La realizzazione dei campi scuola è possibile grazie all’impegno e alla dedizione dei medici, degli infermieri e dei volontari, che dedicano tempo ed energie immense.

Le famiglie che scoprono il diabete di tipo 1 si possono supportare dando loro l’opportunità di un percorso con la psicologa, di un incontro formativo con tutta l’equipe sanitaria, Sunrise, e con incontri di socializzazione con altre famiglie, la Festa di Natale, il Tiro con l’arco, la Ciappolata… Negli ultimi anni, con il sostegno dei nostri medici e del CAI di Pianezza e Cuneo, durante la primavera/estate organizziamo delle uscite di uno o due giorni di camminate in montagna. L’obiettivo è sempre insegnare la gestione in situazioni di fatica. Il progetto con il CAI si conclude di solito a fine agosto con un campo scuola Diab3king con l’obiettivo di promuovere l’educazione terapeutica, ma anche di sviluppare il processo di autostima e responsabilizzazione, stimolando i ragazzi ad avere uno stile di vita attivo.

Come sostenete tutte queste iniziative?

Grazie alle donazioni del 5x1000, piccole donazioni dei privati, in qualche caso con eventi di raccolta fondi e soprattutto con l’impegno immenso dei volontari attivi. Nella sanità pubblica manca un po’ di tutto, quindi anche il nostro piccolo apporto e le nostre campagne di sensibilizzazione possono fare la differenza. In passato abbiamo donato un pc e una fotocopiatrice al centro di diabetologia, un forno a microonde per gli infermieri, una linea telefonica dedicata, un cellulare per le emergenze. Piccole cose, ma utili. Anche se poi la cosa più importante è aiutare le famiglie e i ragazzi a sentirsi meno soli e a imparare a convivere con il diabete. Il diabete di tipo 1 è come un vestito fatto su misura, ognuno ha il SUO e deve imparare a indossarlo con consapevolezza.

Intervista a cura di Giovanni Digiacomo