Andrea Monti (Hatch CoLab), impact investing? Un’opportunità anche per l’Italia

18/06/2021

Dalle tecnologie nuove occasioni di “fare profitto, facendo del bene”, ma ci vuole visione e metodo

Si è parlato tanto della cessione della milanese DePop a Etsy per oltre 1,6 miliardi di dollari, che è anche un buon segnale per il mercato italiano dove Depop è nata, ma l’ecosistema italiano rimane ancora sottodimensionato, e al suo interno è ancora agli albori anche il venture capital che investe sull’Impatto.

Andrea Monti, program director della fondazione svizzera Hatch CoLab, conosce molto bene le sfide delle startup italiane e mescola alla soddisfazione per il secondo unicorno italiano, la consapevolezza delle sfide di un mercato del venture capital competitivo nel Bel Paese.

“DePop supera il miliardo di valorizzazione ed entra a pieno titolo dunque nel parco degli unicorni, ma oggi il mercato deve guardare oltre le metriche tradizionali. Preferirei che si cercasse di creare non solo unicorni ma anche “impact unicorn”, però con una nuova definizione, intendendo cioè quelle aziende che riuscissero ad avere un impatto positivo su un miliardo di persone piuttosto che a valere un miliardo di dollari. Anche il mercato italiano dovrebbe ragionare in questi termini. Una delle startup con cui noi di Hatch stiamo lavorando, ad esempio, ha realizzato un sistema di pagamento digitale per rendere più equo e bilanciato il sistema sanitario e lavorano ad esempio anche con il governo del Pakistan, su una popolazione di 90 milioni di persone: a questo punto numeri significativi diventano meno lontani. In generale l’Italia però ha ancora molto da fare sul fronte del venture capital, gli operatori sono pochi e piccoli, anche se si vedono recenti spunti di stimolo alla crescita come il lavoro che sta facendo CDP con i suoi fondi. Eppure settori come food & beverage, fashion o automotive e meccatronica (in cui l’Italia eccelle) potrebbero essere il contesto ideale per la nascita e crescita di nuovi unicorni. L’Italia ha fatto senza dubbio anche dei passi avanti negli ultimi anni con nuove regole di settore. Sul crowfunding qualche anno fa è stata la seconda nazione d’Europa a dotarsi di una regolamentazione, ma bisogna continuare ad innovare in questa direzione. Sul tema dell’Impatto, poi, serve più dialogo, più contaminazione tra imprenditori visionari e tradizionali, tra le dimensioni del profit e del non profit. L’economia globale e la sua crescente attenzione per la sostenibilità, non solo ambientale, ma anche sociale pongono un’occasione anche per l’Italia e la nostra imprenditoria. Bisogna creare e diffondere modelli di ibridazione, attraverso hub di contagio dell’innovazione. Con il PNRR e il Green Deal oggi abbiamo probabilmente un’opportunità unica per creare nuovo slancio in questo senso”.

Nel suo curriculum ho trovato tecnologia, economia, innovazione, sociale. Poi le startup, le multinazionali, l’università, la formazione. Come è approdato alla fine Andrea Monti alla fondazione svizzera Hatch Colab e all’incontro con il Quinto Ampliamento?

“Nutro una passione per la tecnologia da sempre, dalla prima adolescenza, programmando sui primi personal computer. Ho coltivato questo interesse negli anni, tanto che anche per la laurea in economia ho scritto la un software di gestione degli investimenti. Mi sono poi occupato di revisione contabile, in Bracco di piattaforme di reportistica gestionale. La curiosità per le cose nuove mi ha sempre guidato. In HP ho poi trovato una realtà che valorizzava le mie competenze e l’interesse per l’innovazione, e mi ha permesso di sperimentare, partecipando anche alla scrittura di un libro sull’IT outsourcing e insegnando all’università. Dai primi anni Duemila ho maturato sempre più la voglia di abbandonare la logica dal profitto e capire come invece allargare i benefici dell’innovazione all’intera società. Così nel ho varato una startup di turismo responsabile (FindYourItaly), e con una rete di Alumni del MIP, business school del Politecnico di Milano è. abbiamo fondato Innovits, incubatore e laboratorio di Innovazione con la quale abbiamo supportato qualche centinaio di startup. Dopo c’è stata l’esperienza di Italia Startup, che è cresciuta e oggi è diventata Innovup, nata sull’onda del governo Monti e del Decreto Sviluppo: lì ho avuto due mandati come responsabile dell’Open Innovation e ho potuto partecipare alla costruzione di qualcosa di sistemico nel settore delle startup. Successivamente sono stato direttore generale di AltroMercato, una grande realtà del mercato equo e solidale, che, con la presenza di una presidenza lungimirante, abbiamo portato a collaborare con realtà anche del mondo profit, inserendo tool e metodologie poco note nel terzo settore: di fatto erano tante startup in una, nei settori del cibo e della moda, dell’artigianato, con tematiche di supply chain, e-commerce ed altre. Questo mi ha portato ad allargare lo sguardo oltre i piccoli progetti e ho iniziato a studiare le tradizioni filantropiche più evolute del Regno Unito e in Svizzera, là dove si articolavano degli approcci che oggi stanno confluendo nell’impact investing. L’obiettivo che dovremmo raggiungere è sempre di più l’ibridazione tra mondo profit e non profit per generare valore sociale con gli strumenti dell’impresa. Una spinta che ho ritrovato nel Quinto Ampliamento.

Cosa fa esattamente Hatch CoLab?

“È una fondazione che fornisce soprattutto servizi di accelerazione a startup internazionali, scelte con un forte accento sul purpose, sull’obiettivo di “fare profitto, facendo del bene”. È un innovation hub che prevede 6 mesi intensi di formazione (workshop, consulenza mirata, etc.) più 18 mesi in cui si continua a preparare i giovani imprenditori dell’impact tech di tutto il mondo al dialogo con il mercato e con potenziali investitori. Selezioniamo realtà con un focus chiaro su un determinato problema, non su un generico SDG (gli obiettivi generali di sostenibilità dell’ONU, ndr). Cerchiamo imprese che abbiano tecnologie che le rendano scalabili, affinando i loro business model ed aiutandoli a misurare concretamente gli obiettivi ed i risultati di impatto. Le imprese che supportiamo in media passano da una valorizzazione di € 3-4 mln a una di 7-8 mln (circa un +70%). Quasi tutti sono progetti che cercano espansione geografica internazionale, realizzando anche di innovazione di prodotto o di servizio. Ogni anno la Fondazione vaglia circa 2000 startup e ne sceglie una dozzina, ma ci siamo già posti l’obiettivo di raggiungere le 40-50 startup”.

Qualche esempio?

TotalCtrl è una bella realtà norvegese che ha sviluppato un software di gestione dell’inventario fisico di ristoranti e alberghi e ha intenzionalmente portato la sua proposta tecnologica in direzione di un contrasto aperto dello spreco alimentare.

In Olanda supportiamo INUKA, un’azienda creata da una ex dipendente Philips che a seguito di un personale “burn out” si è reinventata, creando una piattaforma di supporto per i dipendenti. Ha già raccolto più di un milione di euro grazie ad un gran numero di angel, piccoli fondi e altri operatori, tra cui anche mentor che abbiamo portato noi come Hatch”.

 Giovanni Digiacomo - Giornalista finanziario