Il produttore con storage che condivide quanto non autoconsumato prefigura un nuovo tipo di approccio all’energia e alla comunità
Prosumer è un termine che ha cambiato il nostro modo di rapportarci con il mondo dell’energia, fin dalla sua prima apparizione, negli anni Settanta, in un saggio dei sociologi Marshall McLuhan e Nevitt Barrington che hanno teorizzato per la prima volta come grazie alla tecnologia elettrica un consumatore sarebbe potuto diventare anche produttore. Alvin Toffler nel saggio The Third Wave del 1980 trasferì questo termine nel mondo dei media prefigurando quello che oggi è l’utente dei social media che crea contenuti e li pubblica diventando lui stesso produttore. Pensiamo ai video che diventano virali su social come TikTok o, per fare un esempio ancor più attuale, al Citizen journalism che quotidianamente ci permette di avere notizie e immagini dai territori in guerra.
In entrambi i casi il consumatore sta producendo un contenuto e partecipando alla sua diffusione.
Anzi, condivide parte del suo operato mettendolo a fatto comune.
Cosa ha a che vedere il cittadino armato di smartphone con chi decide di installare un impianto fotovoltaico con storage e condividere la propria energia?
Molto più di quello che potremmo pensare di primo acchito. Chi infatti si è dotato di pannelli fotovoltaici e produce energia che in parte consuma immediatamente e in parte immagazzina compie le stesse azioni di chi cattura un contenuto, lo guarda e lo inserisce nella memoria dello smartphone. Oltre a questo, però, compie un ulteriore, importante, passaggio: condivide in rete quella parte di energia che non ha autoconsumato oppure la condivide con la comunità energetica di cui fa parte. Il parallelo è chiaro con chi produce un contenuto e lo condivide con la community di cui è utente e contributor.
Questa transizione da semplice utente che consuma a produttore che contribuisce è frutto dell’evoluzione di oltre un secolo di tecnologia e pensiero.
Infatti già un secolo e mezzo fa, all’esordio dell’energia elettrica, ci si era posti il problema della sua somministrazione distribuita sul territorio e continua. La possibilità della generazione distribuita di energia è sempre stata una delle ipotesi in campo almeno dal punto di vista ideale se non tecnico. Per arrivare al punto di oggi - cioè alla produzione direttamente sul tetto di casa - ci sono voluti decenni di studi sul fotovoltaico. Tuttavia una volta innescata questa rivoluzione con la possibilità effettiva di prodursi energia da autoconsumare a un costo normalmente accessibile, il passaggio alla possibilità di condividerla con una comunità è stato molto rapido. Oggi le comunità energetiche sono state anche normate nel nostro ordinamento e sono in fase di costituzione sul territorio nazionale. La comunità energetica rinnovabile (REC) viene definita come una libera associazione di consumer e prosumer a livello della stessa cabina elettrica. Si tratta di un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione “aperta e volontaria”, che è “autonomo” ma soggiace a una vicinanza dei membri agli impianti di produzione. Possono parteciparvi persone fisiche, piccole e medie imprese o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali e l’obiettivo principale è “fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera”.
Al di là di questa definizione, inserita nella Direttiva RED II (Direttiva UE 2018/2001), quello che conta e che sta emergendo sempre di più con la sua forza dirompente è proprio quest’ultima parte dell’enunciato che riguarda la ricaduta del beneficio comune attuata in una logica di condivisione. Interessante, a questo proposito, osservare come si stanno muovendo alcune comunità “storiche” che sono fortemente legate al sociale. Pensiamo alle parole della CEI la conferenza dei vescovi italiani che tramite l’Arcivescovo monsignor Santoro ha riconosciuto l’opportunità dal basso offerta dalle comunità energetiche invitando tutte le parrocchie a costituirne una. Per Santoro la comunità energetica può diventare “uno strumento di creazione di reddito che può sostenere fedeli, parrocchie, case famiglia, comunità famiglia e comunità locali”.
Dal consumatore alla comunità energetica avviene il passaggio epocale tra un’ottica di utilizzo delle risorse a quella di una sharing economy dove l’energia diventa una risorsa per tutta la collettività, che deve servire a soddisfare i bisogni attuali senza compromettere quelli delle generazioni future. Un’ottica di beneficio comune che viene a collimare perfettamente con quella che è la filosofia delle B Corp, quindi delle Benefit Corporation che, tramite la loro azione, portano un contributo positivo a tutta la società e l’ecosistema che le circonda.
L’energia che diventa rinnovabile e distribuita, grazie al beneficio immediato cioè la riduzione delle emissioni e a quelli secondari, come la condivisione ma anche la logica del non spreco di un bene comune, può diventare una forza propulsiva non solo per l’economia ma per la società stessa. Un insieme di elementi che la recente crisi energetica conseguente alla situazione internazionale ha rimesso al centro del dibattito.
Speriamo per restarci.
Articolo scritto in collaborazione con Plenitude + Evolvere