Oggi è Presidente di Weglad, impegnato in una delle tante battaglie della sua vita; oltre 50 anni in continuo movimento professionale e personale sono una ricca miniera per leggere la forza della persona e la difficile relazione di tanti ideali con la realtà quotidiana.
Riccardo Taverna lo conosco da tantissimo tempo, e quando ci siamo incontrati per questa intervista ho potuto immediatamente riconoscere un sentimento misto sul suo volto, misto di orgoglio, emozione e imbarazzo.
L’orgoglio giusto di chi sa di aver superato tante difficoltà, di aver valicato tante cime e schivato molte minacce, l’emozione dei puri quando ci si trova a dover parlare di sé stessi, a scavare dentro e svelare le parti più vere e più nascoste, e infine l’imbarazzo della modestia, che deriva dal timore che una testimonianza, un tributo possa venir confuso con una auto celebrazione.
E allora per rompere gli indugi ho pensato di andare dritto al cuore del punto che mi ha sempre colpito di più. E’ impossibile leggere Riccardo dalla prospettiva della sua diversità, perché in realtà quella diversità gli ha sicuramente caratterizzato la vita ma la sua vita si è sviluppata indipendentemente da essa, grazie alla forza, alla determinazione, all’energia positiva che ha sempre messo in ogni progetto, in ogni relazione, in ogni emozione.
D: Ma Riccardo dove trova la sua forza? In se stesso, in qualche compagno di viaggio, nella sua relazione sentimentale?
R: Penso che sia necessario tornare alla mia infanzia, ero un bambino mica tanto simpatico, ero codardo e vigliacco, quello che lanciava la pietra e nascondeva la mano. Poi tutto è cambiato quando mi sono iscritto al corso di judo, uno sport individuale, non di squadra che per questo ti obbliga a non mentire a te stesso; in un torneo con 7 o 8 turni, per 7 o 8 volte dovrai guardarti in faccia ed essere franco con te stesso, senza mai mentire; ogni bugia sarebbe smascherata nella durata di un combattimento.
Ma anche le partnership professionali sono state importanti e sono diventate veramente paritarie solo quando ho davvero accettato la mia condizione; altrimenti mi trovavo sempre nella situazione di cercare un partner “sano” come se dovesse completare i miei deficit. Una volta la moglie di un mio partner gli disse “sei il badante professionale di Ricky”.
La mia solidità non ha una fonte unica ma è figlia di un lungo percorso personale e professionale, a cui si deve aggiungere, per avere una lettura completa, la mia propensione ad accettare le sfide, a tuffarmi nel cambiamento.
D: Ecco, mi collego proprio a questa tua caratteristica, nella quale poi mi ci ritrovo anch’io. Qualche volta, quando parlo con Ricky, che sia al bar piuttosto che in un convegno, mi trattengo da qualche considerazione, da qualche spunto perché so già che poi Ricky non lo lascerà cadere in terra, lo coglierà e vorrà trasformarlo in un progetto, in qualcosa di concreto. Questa voglia sempre di trasformare l’intuizione in una passione prima, in un progetto dopo, è una bellissima attitudine ma riserva anche molte delusioni nei confronti delle persone, molti errori nel percorrere strade sconosciute, e risultati incerti derivanti da scenari incompleti e imprevedibili. Cosa ne pensi di queste “facciate” che ogni tanto segnano la strada di chi è intellettualmente coraggioso come te?
R: E’ vero ciò che affermi, ma la ragione è che siamo professionisti che conoscono troppo bene la ricchezza che deriva dall’essere e rimanere aperti piuttosto che chiusi su se stessi. Anche lo stimolo al concedere la fiducia può essere spesso irresistibile e quindi nascondere delle delusioni. Ma non sarà la delusione a cambiarci e a toglierci il coraggio di rimanere aperti al mondo che ci circonda.
D: E allora parliamo della tua tenacia, sei un uomo o un super eroe? Non ti è mai venuta la voglia di mollare tutto, di arrenderti di fronte alle difficoltà?
R: Sono un uomo, sono un uomo. E mi è accaduto tante volte di voler mollare, di abbandonare tutto. In particolare dopo che ho avuto l’infarto. Ho pensato: questo è troppo, non ce la faccio a gestire anche questo. Ero sdraiato sul divano, mi sarei lasciato andare per sempre, poi ho pensato a mia moglie che in quella occasione era all’estero, e che non avrei più visto; allora ho raccolto le energie residue e ho chiamato il mio badante per andare all’ospedale.
Sono stati tanti i momenti in cui avevo voglia di mollare, in cui avrei mandato tutti a quel paese. In tutte le case in cui ho vissuto ho sempre posizionato uno specchio di fronte al w.c., così ogni mattina mi specchiavo e capivo se avevo la forza di guardarmi in faccia. In tutte le crisi che ho vissuto mi sono sempre dato tre giorni e non di più per venirne fuori.
Alla fine io ho sempre inseguito il mio mondo; negli ultimi mesi ho lasciato ben due società in cui lavoravo, vicende che viste da fuori sembrano pazzie, ma in realtà l’ho fatto solo perchè voglio continuare a tracciare la mia strada, inseguire i miei sogni e non lasciarmi deviare dagli incontri che faccio nel mio sentiero. Sono tanti gli eventi casuali che ci segnano ma cerco sempre lo stesso di essere io l’autore del mio destino.
D: Allora sorge naturale la domanda: credi in Dio?
R: Altrettanto francamente. Non lo so!!
Me lo avessi chiesto qualche anno fa non avrei avuto dubbi a rispondere negativamente, ma da quando ho ripreso gradualmente a camminare, il dubbio si è insinuato nei miei pensieri. Di fronte all’inspiegabile, la ricerca si rivolge al metafisico e Dio è la prima naturale risposta. Ti dirò comunque che spesso, nelle giornate di maggiore difficoltà, la sera, quando ero a letto e solo con me stesso, mi sono sorpreso a pregare.
D: Marketing, comunicazione e poi sostenibilità. Il tuo percorso professionale è versatile. Ma se vogliamo chiudere in una unica definizione Riccardo Taverna, come lo definiremmo? Perchè spesso mi viene da pensare a te non tanto come un consulente, ma come un intero eco sistema che condivide con te valori e ideali.
R: Metti a nudo i limiti del comunicatore, non saprei come definirmi. Sicuramente mi piace una descrizione che spesso i clienti mi danno quando inizio a lavorare in azienda, cioè lo “psicologo di impresa”, perchè faccio emergere elementi che sono nascosti nell’organizzazione e di cui non c’è nessuna consapevolezza. Sì, psicologo di impresa non mi dispiace.
Detto con un pò più di ambizione, vorrei forse essere definito e ricordato come “uomo del cambiamento”.
D: Veniamo alla sostenibilità, tanti ne parlano e pochi la praticano. Tu adesso collabori con Weglad che è impegnata sul tema della mobilità e delle barriere architettoniche. Tutti affermano che la diversità è una ricchezza, rafforza le organizzazioni, le rende più coese e resilienti. Ma tu ci credi a questa narrazione dominante ?
R: Guarda non penso che tutti coloro che affermano questi principi ci credano davvero. Ma voglio essere chiaro, a me la parola diversità non mi fa impazzire, preferisco parlare di unicità. Ognuno ha dei talenti, sia il normodotato che il cosiddetto diverso, e questi talenti sono quelli su cui concentrarsi per valorizzare la persona. Ti racconto un aneddoto; a Lecco conosco un consulente del lavoro che promuove l’assunzione presso le aziende di persone diversamente abili. Un giorno riuscì a convincere un imprenditore a procedere all’assunzione e questi propose di fare un giro della fabbrica per vedere dove si sarebbe potuto posizionare il nuovo assunto. Passando davanti ad una postazione di lavoro, l’imprenditore affermò che quello forse era l’unico luogo dove non avrebbe mai potuto mettere un diversamente abile, poiché richiedeva un livello di concentrazione ed attenzione altissimo. “Un sordo muto” esclamò il consulente. Così il difetto si tramutò improvvisamente in talento e l’imprenditore non è mai stato così felice di quella scelta.
Con Weglad, proprio su questi temi, stiamo iniziando a fare la differenza; vogliamo credere che anche i manager italiani presto abbracceranno l’inclusività come elemento forte della propria organizzazione.
D: Come sei arrivato alla scrittura? Che ruolo gioca nella tua vita?
R: Da ragazzo ero proprio una schiappa, nei temi prendevo sempre voti tra il 4 e il 5. Negli ultimi anni mi sono scoperto a scrivere spesso, solo per me, come aiuto ad elaborare e chiarire il mio pensiero. Poi quando arrivo a qualcosa che ritengo finale e comprensibile, lo condivido con gli altri. Recentemente ho incontrato la professoressa che mi dava sempre 4, e ti dirò che l’ho proprio ringraziata; era sorpresa, ma le sue lezioni sono emerse poi 40 anni dopo, è grazie a lei se oggi riesco a scrivere in maniera comprensibile.
E comunque ho tante idee per nuovi libri: la seconda parte della mia autobiografica, un instant book sul greenwashing, e un libro sul concetto di Umanità.
D: Recentemente le nostre strade si sono di nuovo unite sotto il nome di Adriano Olivetti. Ormai non c’è presentazione che non mostri una sua citazione, è diventata una bella coperta per coprire qualunque macchia di insostenibilità. Come molte parole oggi, che vengono troppo utilizzate e spesso fuori luogo, ha perso il suo significato trasformativo. Come si può difendere Olivetti e la forza del cambiamento del suo insegnamento?
R: L’unica strada che mi sento di indicare è quella di difendere a spada tratta la centralità delle bellezza nel suo pensiero. La bellezza di sorprendere gli altri, la bellezza della crescita spirituale attraverso il lavoro, la bellezza dell’accoglienza verso le idee non condivise, la bellezza del prodotto, la bellezza della forza della cultura dentro ogni singolo uomo.
Se in un sogno potessi incontrare Adriano per una volta nella vita gli farei due domande: una sul ruolo che nella sua vita e nell’evoluzione del suo pensiero ha giocato il padre Camillo, e la seconda sul domani, come comportarsi nel prossimo futuro? Perché sono sicuro che sia necessaria una rivalutazione del fondatore della Olivetti, e perché la spinta interiore di Adriano verso il futuro sicuramente ci offrirebbe nuovi spunti e nuovi strumenti per comprendere gli accadimenti che ci aspettano.
D: Come procedono le interviste che stai facendo a diversi imprenditori sul tema di un nuovo umanesimo da introdurre sul lavoro?
R: Ho imparato tantissimo, la primissima conclusione è che l’umanità in azienda si crea attraverso la semplicità. Ti racconto di un caso, un imprenditore calabrese che gestisce un punto vendita. Una estate ha messo un dipendente all’entrata con una bella caraffa di acqua da offrire a tutti i clienti che entravano. Con un gesto semplice, anche banale, ha riconosciuto l’umanità del suo prossimo. Ecco, non c’è bisogno di sovrastrutture eccezionali, l’umanità si introduce con i piccoli e semplici gesti.
D: Andiamo in chiusura di questa intervista. Secondo me tu rappresenti un esempio per tanti, e ogni esempio porta con sé una responsabilità. Come declini la potenza del tuo esempio, come fai in modo che fertilizzi nuovi campi, solleciti i giovani a essere responsabili, curiosi, aperti e tenaci?
R: Sicuramente il momento in cui sento il peso della responsabilità è quando incontro i ragazzi, lì mi tremano i polsi. I giovani sono delle spugne, e ogni parola che ascoltano sedimenta in loro e lascia un segno.
Il motivo per cui ho deciso di scrivere il mio libro è proprio perché ho immaginato così di raggiungere da qualche parte nel mondo anche solo una persona a cui dare la forza per superare un ostacolo, attraverso l’ispirazione di un esempio, di una azione, di un’idea.
Questa persona l’ho incontrata a Reggio Emilia, nelle sembianze di una giovane studente, un caso particolare di disagio sociale. Durante il mio intervento, l’ho invitata ad avvicinarsi e a simulare di scrivere sulla lavagna senza avere le mani; infatti gliele ho fatte chiudere in due pugni e fasciare con la pellicola trasparente; lei ha svolto l’esercizio egregiamente.
Al termine della mia lezione la ragazza è subito uscita dall’aula, poi è tornata con un’aggressività inusuale, mi ha puntato il dito contro e mi ha gridato: ero sicura che nella vita non avrei potuto mai farcela, ma oggi, dopo averti incontrato, so che ce la farò.
Questo è Riccardo, uomo del cambiamento, uomo che basta a sé stesso per scrivere il suo presente e il suo futuro. Un uomo con la responsabilità dell’esempio, che vive per divulgare i valori dell’umanità, della tenacia, della ricerca continua e della bellezza.
Soprattutto emerge un uomo in un contradditorio costruttivo con i tempi attuali, perché porta con sé un sapore di antico fatto di concretezza, di credo nei propri ideali, di consapevolezza del senso delle parole e di conflitto aperto con la superficialità e l’apparenza.