Le comunità energetiche: ecco perché è importante parlarne adesso

12/03/2021

Il 2020 è stato un anno di svolta per le comunità energetiche italiane. Diversi indizi, già oggi, indicano che proprio a queste forme di aggregazione tra produttori e consumatori di energia pulita sarà affidato un compito importante nella transizione energetica.

L'unione fa la forza, è uno dei proverbi più comuni, il cui senso ognuno di noi ha imparato ad apprezzare, almeno una volta nella vita. Perché il risultato dell’unione di più singoli non segue una legge matematica, ma è maggiore della somma degli addendi. Quel quid in più è la forza della comunità. L’etimologia di questa parola affonda le radici nel termine greco koinonia, che indica proprio l'unione delle parti che formano il tutto e che diventano qualcosa di diverso dalle unità separate. Le parti nella comunità energetica sono i diversi prosumer e i consumatori che non possono o non riescono a diventare produttori che si uniscono per utilizzare al meglio la produzione di energia nello stesso territorio, ottimizzarne l’autoconsumo e la condivisione e, solo in un secondo momento, immettere sul mercato solo l’energia non autoconsumata o non condivisa.

 

Alla base di questo modello di produzione energetica c’è un profondo cambio di mentalità che, almeno in Italia, potrebbe già mettere a fattor comune gli investimenti fatti negli ultimi dieci anni da quasi un milione di piccoli produttori di energia elettrica da fonte solare; impianti che utilizzano in autoconsumo un terzo dell’energia prodotta (due terzi per chi ha un sistema di storage) e che potrebbero da subito condividere i restanti due terzi nell’ambito di una comunità energetica; e questo sarebbe un vantaggio per l’intero sistema elettrico.

 

Ma facciamo un passo la volta, perché l’attuale sistema normativo non prevede di poter utilizzare in comunità impianti esistenti prima del 1° marzo 2020.

 

Oltre al vantaggio sistemico, i vantaggi che apporta la comunità energetica sono molti.

Partiamo dal primo e più facilmente comprensibile: il risparmio. L’energia condivisa, in aggiunta a quella autoconsumata, rappresenta il modo migliore per utilizzare in loco l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico, perché permette di evitare alcuni costi tipici del sistema elettrico, che di solito si riflettono in bolletta.

Inoltre, si dà la possibilità di organizzare al meglio l’utilizzo della produzione facendo leva su più soggetti e non solo su se stessi.

La comunità energetica, infatti, localizza il fabbisogno in una dimensione ben definita, una rete composta da case, edifici pubblici, piccole imprese, e in questo modo permette di ottimizzarlo.

C’è poi il terzo vantaggio che si lega al tipo di energia prodotta, derivante da fonti energetiche rinnovabili. Si tratta, quindi di una energia pulita, sostenibile.

 

La sostenibilità, però, è un concetto ampio, complesso. E la comunità energetica può aiutare a costruire uno sviluppo sostenibile anche da un punto di vista etico, sociale, come mezzo di contrasto alla povertà energetica intesa come incapacità per buona parte della popolazione di acquistare i servizi energetici essenziali. All’interno di una comunità energetica, che riduce gli sprechi e ottimizza l’autoconsumo, da un lato l’energia diventa più accessibile e dall’altro possono scattare quei meccanismi solidali propri della comunità che permettono di mitigare efficacemente la povertà. Il tema del rapporto tra comunità territoriali ed energetiche, cruciale anche per lo sviluppo di questo modello di contrasto alla povertà energetica,  è stato messo al centro di un webinar (da rivedere a questo link) organizzato dall'associazione Il Quinto Ampliamento e che ha visto per Evolvere la partecipazione di Roberto Gatti, Responsabile Innovation.  A emergere, in questo contesto, è stato proprio il ruolo dell’energia nello sviluppo e nel progresso di un territorio e di una comunità locale.

 

La condivisione dell’energia e l’attenta gestione comunitaria poi ci riporta immediatamente a un ambito ancora più ampio, radicale. Quello della sharing economy e dell’economia circolare, dove l’accesso a un servizio diventa prioritario rispetto al possesso di un bene. Nella comunità energetica, ad esempio, potrebbe essere centrale la condivisione dello storage per aumentare ulteriormente la quota di energia condivisa al di fuori degli orari di produzione che può avvenire tramite le singole batterie di casa, batterie di quartiere o di isolato o anche attraverso quelle delle automobili elettriche che, tutte insieme, potrebbero contribuire a fornire servizi di bilanciamento della rete.

 

Scenari futuristici? Non proprio. Lo studio “Le Energy Community in Italia: l’evoluzione del quadro normativo e ricadute attese per il sistema- paese”, condotto nel 2020 dal gruppo di ricerca Energy & Strategy del Politecnico di Milano ha stimato la creazione di circa 26.000 unità tra comunità energetiche e AC.FER. (autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente) nell’arco di 5 anni. In queste saranno coinvolti circa 750 mila nuclei familiari, 150 mila uffici e 8.000 PMI. Lo studio poneva come condizione per la realizzazione di questo scenario la spinta di incentivi statali. Quasi contemporaneamente, sempre nel 2020, l’Italia ha recepito, almeno in parte attraverso un emendamento al Decreto Milleproroghe convertito nella legge 8 del 28 febbraio 2020, la Direttiva europea RED II, che obbliga i Paesi dell’Unione ad introdurre l’autoconsumo collettivo nel loro ordinamento. Oltre a questo, l’autoconsumo collettivo è anche promosso da una tariffa incentivante, definita lo scorso settembre dal Ministero dello Sviluppo Economico, che per la prima volta promuove lo storage.  Le regole tecniche per accedervi sono state poi fissate in un documento del GSE pubblicato il 22 dicembre. Il 2020 appena trascorso si conferma quindi la tappa più importante per la storia delle comunità energetiche nel nostro Paese. Almeno fino ad ora.

 

L’Agenda 2030 indica tra i 17 goal per lo sviluppo sostenibile: “Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni”. Le comunità energetiche sono la risposta a portata di mano. Il 2021 potrebbe quindi essere l’anno per il loro effettivo sviluppo, avallato da ulteriori provvedimenti economici e normativi, con un impatto ancora più ampio del previsto. La necessità di un Green New Deal, collegata all’utilizzo del Recovery Plan, e la definizione di un apposito dicastero dedicato alla transizione ecologica ci autorizzano a pensarlo con ragionevole ottimismo.

 

Con il contributo di  Franco Giampetruzzi - Head of Operations and Innovations