Bottega Filosofica, il coaching d’impresa che sposa la filosofia

09/12/2024

La fondatrice Myriam Ines Giangiacomo ci racconta un percorso di consulenza ESG che punta a restituire senso all’attività delle organizzazioni.

“L’idea di Bottega Filosofica trova le sue radici nella mia storia, che è in parte simile anche a quella delle persone che compongono il nostro team. Mi sono laureata in filosofia con una tesi sul linguaggio delle imprese e da subito ho anche avviato un percorso professionale che è passato dalle assicurazioni, a KPMG, a Ferrovie dello Stato, dove sono diventata presto dirigente e ho accumulato un’esperienza in tutte le attività che hanno a che fare con il personale, dall’organizzazione, alla gestione, alla negoziazione, alla formazione, allo sviluppo, alla qualità.

Ho sempre portato con me il mio bagaglio filosofico, arricchendolo con esperienze come quella di ManagerZen, con il master in Business Ethics, con il master in Consulenza e Pratiche Filosofiche (dove ora insegno). Così verso i 50 anni ho deciso di prendere un anno sabbatico e di girare il mondo per studiare cose come il systems thinking, l’ecologia profonda, la leadership autentica. Nasce da tutto questo percorso nel 2014 Bottega Filosofica”.

Myriam Ines Giangiacomo, fonder e CEO di Bottega Filosofica, traccia così i riferimenti che accomunano le “quattro persone più una” di questa Società Benefit.

Ma in pratica chi è Bottega Filosofica? Di cosa si occupa?

Siamo una società di consulenza ESG per le imprese e le organizzazioni. Una società di coaching per le aziende, ma con una identità peculiare, che poi è la nostra cifra: abbiamo una esperienza radicata nel business, di cui conosciamo linguaggio, sfide e procedure; ma abbiamo anche quegli strumenti basati sul pensiero critico, sull’approccio filosofico alla ricerca di significato nell’organizzazione, sulla sospensione del giudizio, sul dialogo autentico, sull’immaginazione dei futuri possibili, che possono fare la differenza. Sposiamo questo approccio originale con una creatività che si ispira a quella delle botteghe rinascimentali - da cui il nostro nome - con la consapevolezza della complessità delle moderne organizzazioni.

Nel vostro statuto avete scritto che puntate a contribuire allo sviluppo di “un mondo più ricco di senso oltre che di risorse economiche”. Cosa vuol dire?

Con i metodi della filosofia e del coaching stimoliamo imprese e persone alla riflessione sul significato ultimo del proprio business e delle attività che compiono. A differenza della maggior parte dei coach ‘tradizionali’ che guardano solo all’individuo e ai suoi obiettivi, poniamo molte domande attraverso le quali ampliamo lo sguardo, costruiamo cornici di senso ed esploriamo l’impatto. Creiamo così la possibilità, andando magari oltre le esigenze immediate dei clienti, anche per immaginare i futuri possibili e trovare pilastri di significato che li sostengano nelle condizioni di incertezza, volatilità, ambiguità e complessità del mondo contemporaneo.

Il pensiero critico, il dialogo e l’immaginazione, intesa come capacità di costruire scenari di futuri possibili - non previsionali, ma trasformativi – e di attivare le capacità progettuali delle persone, sono componenti essenziali del nostro metodo. In questo senso facciamo anche ricorso alla maieutica, per fare emergere percorsi evolutivi tramite l’autoriflessione. Tutto questo ha delle immediate possibili traduzioni in pratica in termini di riorganizzazione dei processi di governance, gestionali e operativi, di attivazione di percorsi di innovazione, di emersione e riduzione di costi occulti, tangibili e intangibili. Un'implementazione che spesso accompagniamo magari arricchendo il nostro team delle competenze specialistiche specifiche necessarie.

Coltiviamo un approccio sistemico, quindi spingiamo le realtà imprenditoriali con cui ci confrontiamo a vedere il mondo non come una semplice somma di elementi, ma come un intreccio di relazioni e le relazioni sono la chiave per la creazione di un significato condiviso. Questi messaggi sono ancora più attuali nel mondo contemporaneo, perché cercano di rispondere a quella ‘domanda di senso’ impellente delle nuove generazioni, che non chiedono soltanto lo smart working o un salario più alto, ma anche il significato della loro funzione in azienda, cosa possono imparare, a cosa servirà quel che faranno. Da qui naturalmente la riflessione sull’impatto, che è poi la relazione delle persone e delle organizzazioni con il sistema mondo.

Un esempio virtuoso tra le vostre esperienze? 

Qualche tempo fa abbiamo lavorato con una importante impresa hi-tech e in particolare con il team della sua funzione Strategie. Tutti giovani brillanti ed estremamente competenti provenienti dalla consulenza o dall’università. Un top manager però ci aveva detto: “Il team mi sembra triste, fanno tutto molto bene ma non si accendono”. Così abbiamo lavorato con loro e li abbiamo aiutati a scoprire se stessi come team – un ‘intero’, non la mera somma della parti – e a mettere a fuoco che il loro lavoro era per un 50% tecnico- specialistico e per un altro 50% fatto di relazioni. Rapporti con le varie funzioni aziendali da un lato e con il mercato e il mondo dall’altro, da cui trarre informazioni e indicazioni da trasformare in direttive strategiche, in piani industriali. Un ruolo chiave pieno di significato e di grande impatto. Tra i tanti aspetti toccati, la scoperta del lato relazionale del loro lavoro è stata particolarmente illuminante, così come quella dell’importanza del costruire e mantenere fiducia tra loro membri del team e tra il team e i suoi stakeholder. Anche comprendere che il conflitto può essere un momento di crescita, una crisi creativa positiva, li ha arricchiti. Abbiamo ritrovato un’altra volta la ragione del nostro lavoro: i membri del team ne sono usciti più consapevoli, più appagati, abbiamo contribuito a migliorare la percezione del team, a identificarsi come un ‘sé collettivo’ coraggioso e influente e ampliato la cultura di gruppo. Tutto questo ha a che fare con la nostra visione dell’impresa non come una macchina da far camminare o riparare ma come un organismo – un sistema vivente –, una rete di relazioni che si autosviluppano e autorganizzano intorno all’obiettivo comune e condiviso. Questo genere di consapevolezza oggi è sempre più importante per molte imprese che, cresciute con l’intuizione e la forza dell’imprenditore, ora hanno bisogno di un approccio diverso, di competenze trasversali e posture nuove, di scoprire l’interdipendenza tra i capitali e le idee dell’imprenditore da un lato e le energie e l’intelligenza dei lavoratori dall’altro per continuare ad essere profittevoli e garantirsi innovazione e longevità. Naturalmente ne deriva anche un approccio nuovo al mondo, vissuto come cultura della cura e delle relazioni che possono valorizzare il percorso delle imprese e creare un’esperienza di valore condiviso in un’ottica evolutiva e di servizio a tutti gli stakeholder. È questo il nostro target valoriale, il percorso a cui diamo il nostro contributo.

Intervista a cura di Giovanni Digiacomo