Da rifugiato a pioniere del venture capital britannico a ispiratore della finanza sostenibile
L’impresa e la creazione di ricchezza sono vitali nella costruzione di comunità sostenibili. Ma le comunità sotto-investite sono troppo spesso viste come aree a basso potenziale economico e d’impresa. La nostra ricerca mostra che, al contrario, tali comunità possono offrire molte opportunità di profitto per le aziende, le banche e gli altri investitori. L’investimento sociale, inteso come la volontà di raggiungere sia obiettivi sociali che ritorni economici, può affiancare le altre forme convenzionali di impresa e di business, a vantaggio dell’intera comunità.
Sembrano scritte oggi, ma sono parole del 2000, scritte da Ronald Cohen, l’uomo che nel Regno Unito è riuscito a essere in una sola vita padre del venture capital e della finanza d’impatto. All’avvio del nuovo millennio il Tesoro di sua Maestà gli aveva assegnato la guida una task force incaricata di studiare i modi in cui il governo britannico avrebbe potuto migliorare le condizioni economiche e sociali delle comunità più svantaggiate: in poche parole contrasto della povertà. L’esperienza sicuramente ha contribuito alla seconda vita da filantropo di uno degli uomini di maggior successo della City.
Una presa di coscienza che il pioniere del private equity britannico sintetizzò così:
Sebbene io stessi supportando imprenditori di umili origini come me, [il venture capital] non aveva davvero a che fare con il problema della povertà. Le persone si arricchivano e creavano posti di lavoro e questo aiutava le famiglie. Ma per qualche motivo i problemi sociali continuavano a emergere e il gap tra ricchi e poveri diventava sempre più grande, invece di ridursi.
Quando parlava di umili origini, Sir Ronald Mourad Cohen era sincero.
A dieci anni con la sua famiglia aveva dovuto lasciare l’Egitto, dove era nato, per via delle persecuzioni degli ebrei durante la crisi di Suez del 1956. Aveva soltanto la sua collezione di francobolli quando arrivò da rifugiato nel Regno Unito e non parlava la lingua. In due anni divenne il migliore della classe in grammatica e con un duro lavoro riuscì a eccellere a Oxford e a vincere un MBA ad Harvard che gli permise di ottenere presto un lavoro come consulente di McKinsey (nel Regno Unito e in Italia).
Presto però, nel 1972, si lanciò in un’impresa pioneristica: la fondazione di Apax Partners, il primo venture capital e quindi private equity del Regno Unito e forse d’Europa. Era un modo nuovo di investire nelle imprese e nella loro crescita, ma non fu facile, anche se oggi è un pezzo di storia. Forbes calcola che quando nel 2005 Ronald Cohen lasciò l’incarico di presidente esecutivo, Apax aveva investito più di 12 miliardi di euro in oltre 500 affari.
A quel tempo Cohen era già una delle figure più in vista della City e aveva con la politica una familiarità non comune nel suo settore, era un grande sostenitore del partito laburista e di Gordon Brown. Per Cohen però stava già cambiando tutto e stava cominciando il percorso che lo avrebbe portato a essere uno dei pionieri più riconosciuti della finanza sostenibile.
Nel 2002 aveva fondato Bridges Fund Management per investire in una prospettiva più inclusiva e sostenibile. Nel 2003 nasceva The Portland Trust, per favorire lo sviluppo economico della Palestina.
Nel 2007 avrebbe co-fondato l’organizzazione non-profit Social Finance, cui diversi attribuiscono la creazione del primo Social Bond.
Dopo, nel 2012, sarebbe venuta la Big Society Capital, la prima banca d’investimento sociale.
Nel 2020 il libro “IMPACT: Reshaping capitalism to drive real change” faceva il punto sulla visione degli ultimi 20 anni, quella che unisce all’approccio tradizionale di bilanciamento del rischio e del rendimento il terzo elemento dell’impatto misurabile, in termini sociali e ambientali. Il futuro come lo stesso Ronald Cohen ha detto.
Sono investimenti con cui, insieme al profitto, ci si propone di ottenere un miglioramento concreto e misurabile nella condizione di vita delle persone e nell'ambiente. Mentre la finanza tradizionale nasce con l'idea di massimizzare il rapporto tra rischio e rendimento finanziario, l'impact investment introduce un terzo elemento, l'impatto misurabile.
È una sintesi prestata recentemente a la Repubblica.
Oggi i numeri di questa storia sono macroscopici. Lo stesso Cohen stima trentamila miliardi di dollari investiti “per ottenere qualcosa di più del solo guadagno finanziario”. Un percorso difficile e incerto, ma ormai sotto gli occhi di tutti, che però più di vent’anni fa era la visione di un finanziere sessantenne.
Giovanni Digiacomo