Il CEO Petru Capatina ci racconta una sfida tecnologica alle barriere del quotidiano urbano
Le italiane sono davvero poche. Se si apre il sito di Techstars, uno dei maggiori acceleratori di startup del mondo con oltre 1.600 imprese nei propri programmi per una capitalizzazione complessiva di circa 18,2 miliardi di dollari, le società italiane che sono riuscite entrare in questo network d’eccellenza sono appena 11. Fra loro c’è WeGlad. È una startup d’impatto che punta sulla tecnologia per mappare le barriere che ostacolano i disabili. Al giovanissimo cofondatore Petru Capatina (24 anni) chiediamo come è nata l’iniziativa.
L’idea di WeGlad è maturata quasi due anni fa, ma è il risultato delle mie esperienze e di quelle del mio socio Paolo Bottiglieri. Lui accompagnava i suoi due nonni in sedia a rotelle per Torino, ha scoperto così che qualche centimetro può diventare una montagna. Barriere al bar, in gelateria, sulle strisce pedonali. Poi ha lavorato all’Aeroporto di Caselle, all’accoglienza per le persone a mobilità ridotta: lì ha trovato tante storie, tante lotte per il quotidiano, scoprendo dai turisti quanto il problema fosse globale. Io invece alcuni anni fa sono stato investito da un’auto: per un periodo sono rimasto bloccato a casa e ho provato la frustrazione del non poter muovere abilmente le gambe e affrontare gli spazi. Anni dopo, mentre facevo il fotografo per il mondo dello spettacolo, un mio amico acrobata è finito sulla sedia a rotelle, aiutandolo a muoversi, ho capito ancora di più questa sfida. Quella delle persone per cui i “normali” spostamenti urbani di ogni giorno sono come la lotta in un’arena per la sopravvivenza. Come i gladiatori, gli “essedarii” che su carri a due ruote si sfidavano in una battaglia che non avevano scelto. Così è nata WeGlad: riduce Welcome Gladiators, perché la nostra comunità è fatta di gladiatori, in carrozzina o meno, che combattono ogni giorno per sopravvivere a un’imposizione urbanistica milennaria. Alla facoltà di Economia dell’Università di Torino io e Paolo ci siamo incontrati e abbiamo capito che pensavamo a qualcosa di simile. Il contesto era perfetto, era quello della Impactscool (oggi Treccani Futura) che ci spiegava che l’uomo deve essere al centro della tecnologia. Poi da Techstars abbiamo capito che innanzitutto dovevamo ascoltare la gente, i “clienti” e così abbiamo accumulare più di 300 ore di interviste e iniziato a capire un mondo che aspettava soltanto di essere ascoltato e che era straordinariamente grande.
L’Istat ha contato nel 2019 3,15 milioni di persone con disabilità in Italia, il 5,2% della popolazione. Se in un autobus contiene da 90 a 120 passeggeri, dovremmo incontrare una decina di disabili ogni due autobus. Non è così però. In questo contesto è un vuoto che fa rumore…
“È difficile. È stato calcolato che in Italia appena l’8% dei comuni ha intrapreso qualche iniziativa per ridurre le barriere architettoniche, come vorrebbe il piano europeo PEBA. Comprendo che sarebbe anche costosissimo mandare in giro geometri e ingegneri a misurare buche, gradini e braccioli. C’è però anche il lascito di migliaia di anni di urbanistica costruita solo sui normodotati. Solo nell’ultimo secolo l’uomo ha cominciato a progettare per le esigenze di tutti. Negli Stati Uniti c’è l’ADA (Americans with Disabilities Act), che ha reso molto più sostenibili tutti gli spazi. In Italia invece è tutto più difficile, ci sono i centri storici intoccabili e locali in deroga, le esigenze di molte persone sono state accantonate. Sono i nostri gladiatori a cui abbiamo dedicato una piattaforma tecnologica che vuole creare un ponte tra comunità, PA, Terzo Settore e Imprese, per rimettere l’uomo al centro”.
Come funziona WeGlad?
“La nostra app gratuita è già in test sullo Store di Google e a breve dovrebbe andare su Apple. Tutti i partecipanti (utenti o contributori) possono contribuire alle sue mappature indoor o outdoor. Possono scattare la foto di una buca, di un percorso, di un bagno e taggarla con un titolo che la renda riconoscibile. Tutto viene condiviso per creare una risorsa per tutti. È il principio dell’apertura (Open), della condivisione della conoscenza che caratterizza il nostro progetto. WeGlad però è anche Social, perché l’apertura è anche apertura alla comunità. Da subito abbiamo immaginato questo strumento come luogo di condivisione delle sfide del quotidiano e oltre. Gli utenti possono chattare, scambiare impressioni ed esperienze, sfidare quell’isolamento cui spesso il contesto sociale spinge la disabilità. L’app è aperta a tutti, al senso civico generale di normodotati e non, non è un’”app ghetto”, anzi va oltre le etichette con una mission totalmente inclusiva. Il terzo principio è quello del “Navigator”, ossia dello sviluppo, tramite strumenti di intelligenza artificiale, di percorsi personalizzati adattati alle difficoltà specifiche e al modo di muoversi dei singoli utenti”.
Qual è il modello di business?
“L’idea è di proporre una challenge di Responsabilità Sociale d’Impresa di 15-50 mila euro, in media ricorrente per 3-5 anni, a Corporate e medie aziende, per iniettare in modo strategico la nostra “Purpose” di Diversity&Inclusion nella loro comunicazione, cultura aziendale e marketing, con azioni concrete e partecipative, dando loro la possibilità di fare leva sui propri stakeholder per generare un impatto di massa.
Iniziando dai dipendenti: formati su temi inclusione, verranno catapultati nell’app dove saranno protagonisti della mappatura dell’accessibilità partendo dalle sedi di lavoro e di residenza. Tutti i dati creati saranno brandizzati sotto la bandiera aziendale. Il 30% delle risorse raccolte è destinato a una lista di no-profit (i dipendenti sceglieranno quali) a cui allocare il proprio voucher monetario, preso in base all’effort manifestato. Giocheranno mappando e più impatto creano, più potranno donare, senza spendere, a cause che stanno loro a cuore. I dati rilevanti saranno condivisi con le Municipalità per migliorare la loro accessibilità e capacità di intervento. I numerosi outcome di impatto su persone con disabilità, non profit, pubblica amministrazione e dipendenti aziendali, saranno calcolati e moltiplicati con i vari proxy finanziari e restituiti all’azienda con delle Dashboard di impatto qualitativo e quantitativo che potranno usare nei vari bilanci sociali ed essere protetti dal social washing. Puntiamo a restituire una impact ratio di 1 a 20. Per ogni euro speso, 20 euro di impatto, tutto backed by data. A lungo termine, il modello invece diventerà anche un Marketplace per il mondo Healthcare, contenendo il primo bacino digitale globale di questo market target, dove le aziende potranno interagire, vendere e ascoltare uno dei segmenti più rilevanti del mondo sanitario. Il fatturato di WeGlad nutrirà l’ecosistema che lo circonda e lo riempirà d’impatto. L’ecosistema al contrario sarà il propulsore stesso di WeGlad e del suo fatturato. Vinciamo tutti”.
Sviluppare tecnologicamente la piattaforma deve essere stato complesso, come avete fatto?
“Ci siamo affidati a due risorse junior nella prima fase di sviluppo, poi a una software house che condivide i nostri valori e ci ha permesso di andare oltre. Adesso pianifichiamo l’assunzione di CTO stabile, che presidi questo aspetto fondamentale del business. Ci tengo a sottolineare che la gamification è un aspetto cruciale del nostro approccio: rendere la sfida della mobilità sostenibile per persone con qualsiasi difficoltà motoria, richiede piattaforme capaci di motivare e coinvolgere. È inoltre un genere di approccio che riteniamo vincente nel lungo periodo. Gli utenti o contributori guadagnano punti. C’è un sistema di calcolo dell’impatto concreto che otteniamo, se una buca viene riparata si può calcolare il potenziale risparmio delle risorse sanitarie che si sarebbero dovute impiegare per curare gli infortuni. Promuoviamo al massimo la trasparenza del nostro impatto, perché non è solo una carrozzeria del nostro business, ma il motore vivo del nostro progetto”.
Quali difficoltà incontra una startup di impatto nel contesto italiano?
“C’è una sostanziale arretratezza nell’approccio alla finanza di impatto in Italia. Non si comprende che la materialità sostenibile della sfida in gioco non esclude modelli di business profittevoli, spesso i potenziali investitori con cui ci siamo confrontati nutrivano il pregiudizio che business e responsabilità sociale fossero alternativi. Noi invece riteniamo che le due cose possano e debbano stare insieme. La competenza concreta nell’impact investing è relativamente rara in Italia e servono luoghi di confronto reale che spesso abbiamo trovato all’estero in diversi altri Paesi. L’Italia è ancora molto indietro nel campo del venture capital e in particolare del venture capital di impatto, non solo rispetto a frontrunner come gli Stati Uniti o Israele, ma anche a vicini come la Francia o i Paesi del nord Europa. Ha davvero molto potenziale però. C’è un bisogno concreto di impact mentorship da imprenditori che “ci sono passati”, che sappiano indicare le vie e le sfide, è indispensabile. Luoghi di confronto con competenze reali, incubatori concretamente dotati di tutte quelle expertise di cui si nutre la nascita di un progetto di impatto sono essenziali. Una realtà come il Quinto Ampliamento in questo senso può essere un luogo di crescita e di confronto capace di fare la differenza per molti progetti, è fondato su valori reali, un ambiente che ha ben interiorizzato l’esigenza di un ecosistema d’impatto, competente e aperto. Noi siamo andati avanti con un forte spirito di resilienza e nonostante i no e le chiusure di diversi soggetti economici che non studiavano a fondo il progetto. Questo mese un progetto pilota con una banca con 200 dipendenti sarà un primo trampolino di lancio. Sarà affiancato da un altro progetto pilota con le scuole, che coinvolgerà 50 classi medie e superiori, altri 3 progetti più grandi, in attesa”.
Giovanni Digiacomo - Giornalista finanziario